Da Barrett a Gilmour passando per Waters, i capolavori più belli delle carriere parallele dei musicisti dei Pink Floyd. Da Syd Barrett che dimostrava che se la sua mente non fosse implosa sarebbe stato il più grande di tutti a Roger Waters sfogava le sue fantasie più surreali, tutto questo mentre Gilmour si abbandonava al reverb e alla solitudine, possiamo dire che fuori dai Pink Floyd c'è vita! “The Madcap Laughs” di Syd Barrett (1970)Il vertiginoso folk rock dell’album, realizzato con l’aiuto di Gilmour e Waters. L’esordio solista di Barrett lascia intuire che A Saucerful of Secrets avrebbe potuto essere un capolavoro ai livelli di Sgt. Pepper se la sua mente avesse retto. “Music from the Body” di Ron Geesin e Roger Waters (1970)L’album, che si apre con un assalto percussivo e polifonico di peti, rutti, schiaffi sulle cosce, guance che si sgonfiano accompagnati da un pianoforte jazz, è la colonna sonora di un documentario inglese sul corpo umano, ed è un’affascinante e ingenua mescolanza di canzoni e musica sperimentale da camera. Comprende le più amabili registrazioni soliste di Waters (tra cui Breathe, che preannuncia l’omonimo brano di The Dark Side of the Moon). “Barrett” di Syd Barrett (1970)Più costruito e strumentale rispetto a The Madcap Laughs, Barrett è una cavalcata nel paesaggio di una psiche instabile, tra terreni accidentati e visioni superbe. Dominoes, lenta e ritmata, parla di appartarsi e giocare giochi da salotto, mentre Gigolo Aunt, dall’incedere più risoluto, avrebbe potuto essere un successo pop, con quelle linee di chitarra. Rats, un blues elettrico allucinato che procede a ruota libera, e la più lenta e sinuosa Maisie mettono i brividi. “The Pros and Cons of Hitch Hiking” di Roger Waters (1984)Scritto nello stesso periodo di The Wall, nelle intenzioni di Waters avrebbe dovuto essere un album dei Pink Floyd. Ma è diventato un disco solista costellato di effetti sonori, che si avvale della collaborazione di Eric Clapton e della chitarra di Gilmour, con risultati eccellenti. I cori dal sapore gospel e R&B e gli svolazzi jazz del sassofono di David Sanborn intensificano la coloritura blues dell’album, e se le affinità con The Wall sono evidenti, è pur vero che Pros and Con è invecchiato magnificamente bene. “On an Island” di David Gilmour (2006)Quest’album rigoglioso è il più coeso tra i lavori solisti di Gilmour, con la chitarra che veleggia in ogni brano, echeggiata da Phil Manzanera dei Roxy Music. Si capta una venatura folk in Smile, arricchita dall’effetto slide, e nella canzone che dà il titolo all’album, impreziosita dalle armonizzazioni di David Crosby e Graham Nash, mentre altrove si sentono lievi tocchi prog-rock. Fonte: Rolling Stone Italia
Il più importante evento collettivo nella storia del Rock Il concerto di Woodstock si svolse nell’agosto del 1969 a Bethel, piccola località dello stato di New York e fu probabilmente il più importante evento collettivo nella storia della musica rock. Organizzato come un semplice concerto rock di provincia, accolse inaspettatamente per tre giorni e tre notti più di 450.000 giovani. L'importanza storica di questo evento dipese tanto dal punto di vista musicale, quanto da un punto di vista politico e sociale: le date in cui ebbe luogo, infatti, vengono fatte coincidere con la consacrazione mediatica della rivoluzione culturale del '68 e il culmine dell'era hippy. Migliaia di giovani americani, per tre giorni, abbandonarono i propri interessi personali per dedicarsi a qualcosa che, a posteriori, viene visto come un sogno collettivo di riforma della società. Ogni dieci anni il concerto viene riproposto ospitando artisti della prima edizione o delle edizioni precedenti ed artisti contemporanei: questi eventi sono diventati degli importanti appuntamenti sociali poiché descrivono, attraverso la musica e coloro che vi partecipano, le mutazioni della società, in particolare di quella statunitense. Il vero spirito che stava dietro quella manifestazione era la speranza di poter cambiare il mondo, in meglio, che animò le generazioni di hippy di quegli anni. I giovani di Woodstock credevano che fosse cominciata una nuova era di pace e di diritti civili. Una generazione "on the road"che legge le poesie di Ginsberg, Corso e Ferlinghetti, va ai grandi raduni musicali californiani e alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Erano gli anni delle cartoline precetto bruciate e della vita nomade a cavallo della Harley Davidson. Migliaia e migliaia di giovani si riconobbero nelle parole e nella musica dei Jefferson Airplane, di Dylan, dei Buffalo Springfield e dei Grateful Dead. E necessariamente quelle musiche sono la colonna sonora di tutti quei film che la ferita, non ancora rimarginata, della guerra del Vietnam ha ispirato. Elenco artisti che presero parte al concerto:
Che fine ha fatto il Rock? Una domanda che personalmente credevo inattuale, archiviata da tempo. Eppure per alcuni sembra non essere così: Questa volta è finita davvero” hanno dissotterrato una questione su cui vale la pena provare a fare un po' di chiarezza. La musica dei cosiddetti “noughties” ha proseguito nella frammentazione della pop music, deflagrata inesorabilmente a partire dagli anni '90: in questo periodo, nonostante momenti di convergenza quali il Grunge e il Britpop, il panorama musicale ha perso la sua “unità” frantumandosi in mille componenti, moltiplicando (e allo stesso tempo rendendo innocue) le distinzioni tra generi, venendo meno al rapporto forte tra musica, lifestyle e appartenenza sociale. La musica ha sicuramente perso il suo carattere di collante generazionale, di cassetta simbolica degli attrezzi capace di fornire codici identitari a giovani spogliati di ogni legame ascrittivo tradizionale col proprio contesto sociale. Forse è proprio in questo mutamento non ancora del tutto metabolizzato che sono da ricercarsi le origini di dubbi analoghi a quelli di Castaldo. Questo perché la musica pop (secondo l'accezione di “popular” in opposizione a “elitaria-colta”) è nata come Rock (il rock'n'roll degli anni '50) e come sottocultura giovanile. La musica era allora un megafono generazionale capace di fornire uno strumento di identificazione collettiva creativo, innovativo, libero, spontaneo, inesplorato. L'appropriazione spesso indebita degli oggetti di consumo (motociclette, brillantina, abiti ecc.ecc.) che il mercato metteva a disposizione a prezzi sempre più accessibili (o grazie ad un aumentato potere d'acquisto) era la modalità con la quale i giovani si costruivano come categoria sociale definita, portatrice di pretese e rivendicazioni specifiche. Grazie alla musica ascoltata si potevano tracciare linee divisorie generazionali (genitori vs. figli) e temporali (tra working time e week end, tra tempo del noioso dovere e tempo dello svago). Proprio attorno al concetto di “leisure” iniziavano a germogliare rivendicazioni prima inerenti al costume (si pensi alla carica sessuale di Little Richards e soci) e poi sempre più politiche (a partire dal Greenwich Village per approdare alla stagione della controcultura hippie-psichedelica). Andando di fretta avanti con gli anni (mi si perdonerà l'eccessiva sintesi) si arriva al punk, grande cataclisma che stravolge codici, linguaggi, forme e contenuti ma rispetta -sebbene con modalità anarcoidi e dadaiste/collagiste lo schema sottoculturale: il recupero dei valori della working class era unito ad un approccio creativo dal valore simbolico-spettacolare volto a rompere schemi e convenzioni, con il fine di creare uno strumento di resistenza ai valori dominanti. Gli anni '80 possono essere descritti come una prova generale di accettazione orgogliosa di una subalternità rock minoritaria: i canoni della pop music degli eighties mutano profondamente e le sottoculture, ben lungi dallo scomparire, si frammentano geograficamente e socialmente. La moltiplicazione degli stili è ancora segnata da linee divisorie piuttosto nette e continua a sussistere una forte componente “spettacolare” nell'adesione ad una sottocultura. Tutto però si ritaglia spazi minoritari, delle enclaves più o meno underground dove è ancora forte la distinzione tra musica commerciale e musica alternativa, dove permangono forti componenti conflittuali. Ed eccoci a noi. Da vent'anni assistiamo ad un totale rimescolamento delle carte che coinvolge la musica sia come forma artistica che come forma di espressione-identificazione sociale. La popular music ha perso buona parte della sua carica conflittuale, la promiscuità tra alternative e mainstream è spesso strutturale e funzionale (le indies come vivaio di talenti), l'adesione a diversi stili è un fatto per nulla contraddittorio e apparentemente legato a semplici configurazioni di gusti. L'accessibilità, grazie al web, nei confronti di una quantità gigantesca di informazioni annulla le frontiere temporali e assottiglia (anche se non annulla, risultando spesso un fenomeno illusorio) le differenze di classe. La musica degli ultimi dieci anni ha poi aderito ad una pratica assodata di depredazione e di riassemblaggio creativo del repertorio musicale degli ultimi cinquant'anni, tale da rendere del tutto inutile la concezione manichea “Rock vs. Pop”. E' proprio questa annullata distinzione che rende poco chiaro il discorso... Di cosa stiamo parlando dunque asserendo che “Il rock? Latita, è assente, così come sta praticamente scomparendo dalle classifiche, lasciando il posto a un dominio pressoché assoluto del pop”?. Se stiamo parlando del dualismo “Rock vs Pop” allora rientriamo nel discorso appena affrontato. Come si possono tracciare confini tanto netti in un'era che, a partire dal post-rock, ha messo insieme dub, elettronica, kraut rock e post-punk? In un decennio dove ha imperato il riferimento agli anni '80 di Cure e Joy Division, dove un gruppo come gli Arcade Fire ha conosciuto la popolarità grazie a webzine indipendenti come Pitchfork, dove Adele fa il botto con un r'n'b smaccatamente anni '60, dove il web offre una promiscuità imbarazzante tra l'ultimo singolo di Britney Spears, l'ep sfigato di un Blank Dogs qualunque e il folk anni '60 dei Fleet Foxes? Insomma, risulta difficile comprendere di che Rock si stia parlando. Lo stesso discorso vale se intendiamo il termine legandolo con una presunta e privilegiata funzione “controculturale”. Ebbene, la massima controcultura degli ultimi 20 anni è stato il fenomeno Rave, che da spartire con il rock controculturale degli anni '60 e '70 ha ben poco (a livello musicologico s'intende). Il problema è solo apparentemente terminologico. Rock vuol dire ancora qualcosa? O meglio, ha ancora senso utilizzarlo come termine distintivo oppure si rischia di incappare in una scomoda ambiguità? Certamente esistono tuttora band rock (nel senso classico di interazione ritmica di chitarra, basso e batteria) che riescono ad avere discreti successi (si pensi alla presenza in tantissime classifiche sul web dei Girls, o dell'hype generato dai tradizionalisti Black Keys), ma non esiste -almeno non necessariamente- nessuna distinzione di scena, di senso, di valori, tra un fan dei Black Keys ed uno dei Coldplay. Un esempio lampante può essere costituito da un Thom Yorke che incanala il brit-pop nella sperimentazione elettronica e oggi ascolta pacchi di post-dubstep e si dichiara un ammiratore di Aphex Twin. L'atteggiamento del pubblico nei confronti della musica si è ormai sbarazzato di ogni rigidità passata, surfando da genere a genere dimostrando un atteggiamento onnivoro e trasversale. Il rammarico per il fallimento di eventi come i Woodstock revival o per l'assenza di band-megafono come i Clash rischia di essere un atteggiamento miope o reazionario. La musica ha cambiato funzione sociale (si, può darsi, è solo intrattenimento: e allora?), questo è un dato con cui bisogna fare inevitabilmente i conti. E' errato però trarre conclusioni affrettate: se il rock ha slittato dal suo essere strumento conflittuale e critico non per forza ciò significa che abbia ridotto il suo potenziale comunicativo, o che non esistano altri strumenti che ne abbiano sostituito il ruolo. Potremmo dire anche che la codificazione eccessiva e parodistica del Rock come “forma di ribellione” ha svuotato di senso i suoi contenuti più di quanto non abbia fatto la sua scomparsa come categoria netta e riconoscibile. La moda può trasformare ognuno in un rocker maledetto dall'oggi al domani: non esiste più alcuna creatività sovversiva nel semplice stile. Il nuovo paradigma sembra essere quindi la commistione e l'ibridazione di generi e di diverse forme espressive. La cosa rappresenta davvero un problema? Più facilmente potrebbe essere invece segno di una ricchezza culturale ed una disponibilità mentale maggiore, capace di dispensare un dinamismo creativo mai visto fino ad ora. |
AutoreIl Rocker Archivio Post
Dicembre 2017
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