«Riusciva a fare gospel con la chitarra». Steve Vai, Joe Satriani e altri virtuosi raccontano il loro amore per Jimi A quasi cinquant’anni dalla sua morte, Jimi Hendrix continua a ispirare legioni di chitarristi di tutto il mondo. Il modo avveniristico in cui usava il feedback e le distorsioni è stato imitato da tutti, ma nessuno è riuscito a padroneggiarlo sul serio. Negli anni passati dalla sua scomparsa, il mondo della musica non ha ancora visto un chitarrista capace di parlare la lingua delle sei corde come faceva lui. Oggi avrebbe compiuto 75 anni, e abbiamo pensato di lasciare la parola ad alcuni dei chitarristi più rispettati di oggi, così da ricordare ancora una volta l’uomo che ha cambiato per sempre la chitarra rock. Joe Perry Purple Haze è uscito quando avevo 16 o 17 anni. Mi ricordo di aver pensato: “Wow, adesso possiamo ascoltare cosa passano le radio su Marte”. La chitarra strillava dalle casse dello stereo come un mostro, incredibile. È capitato spesso nella storia della musica che arrivasse uno sconosciuto capace di proiettare nel futuro il modo di suonare la chitarra. Jimi Hendrix, invece, ha preso uno strumento in bianco e nero e l’ha riempito di colori. Penso spesso a una sua vecchia foto, credo facesse parte della band di King Curtis; indossava un completo scuro e non lo so, sembrava uno sfigato. Qualche anno dopo, a Monterey, avrebbe dato fuoco alla sua chitarra. Joe Satriani È ancora e sarà sempre il mio preferito. Ogni volta che ascolto la sua musica mi vengono i brividi. Ho deciso che avrei suonato tutta la vita dopo aver saputo della sua morte. Ero agli allenamenti di football, vestito con la divisa e tutto il resto, e uno dei ragazzi della squadra ha detto che questo Hendrix era appena morto. La notizia mi ha distrutto. Era una delle prime volte che mi sentivo davvero in lutto, i suoi dischi erano importanti per me, per la mia adolescenza, erano i miei piccoli salvatori, e non mi sembrava giusto che tutto fosse finito così in fretta. Mi sono tolto la divisa e ho detto all’allenatore che avrei smesso di allenarmi. Sono tornato a casa e ho riascoltato tutti i dischi, guardavo i suoi poster e mi sono detto: “Suonerò la chitarra sul serio”. Ho iniziato a prendere lezioni di chitarra da un tizio, una volta gli ho portato Purple Haze e gli ho chiesto di insegnarmi a suonare come faceva lui. Ha iniziato a suonare e la sua versione era orribile. Mi sono detto: “Non proverò mai a imitarlo. Non profanerò mai questa musica”. E ho mantenuto la promessa per anni, pensavo che suonare Jimi fosse un sacrilegio. Steve Vai Hendrix aveva un rapporto particolare con il suo strumento, era un’estensione del suo corpo, lo amava e ci faceva l’amore continuamente. Ha tirato fuori una serie di suoni irripetibili che sono stati seppelliti con lui. Io conosco molto bene la chitarra, posso sentire cosa faceva e sapere perfettamente come ci è riuscito, ma la vera domanda è: come ha fatto a pensarlo? Dove ha trovato il coraggio per provarci davvero? Ci sono tanti musicisti che hanno migliorato la tecnica dello strumento, che l’hanno portato in luoghi diversi, ma nessuno, nessuno, avrà lo stesso impatto sulla gente di Jimi Hendrix. Nuno Bettencourt È lui che ha reso cool la chitarra e i chitarristi. Ascoltare Eddie Van Halen e poi Hendrix mi ha fatto capire quanto è stata grande la sua influenza. Lui faceva tutti quei suoni con solo l’amplificatore, i Beatles sperimentavano con i loro piccoli twang, ma poi è arrivato Hendrix e la chitarra urlava e strillava sommersa dal feedback. Alla gente sembrava di avere di fronte Satana, capisci? Come ha fatto a trovare quei suoni? Chi gli ha spiegato come fare? Steve Stevens Mi ricordo di averlo visto al Dick Cavett Show, ero ancora un bambino. Non ha suonato nulla dal vivo, hanno mostrato qualche video, ha solo risposto a qualche domanda. Cavett voleva parlare del suo periodo nell’esercito, e gli ha chiesto della sua performance dell’inno americano, all’epoca la gente era indignata da quello che aveva fatto. E Hendrix ha provato a spiegare che per lui era una celebrazione, non una parodia. Faccio il chitarrista, e mi è capitato un’infinità di volte di sentire sue vecchie registrazioni inedite. Per me le migliori erano quelle dove suonava pulito, con un approccio più vicino alla forma canzone. Insomma, era pazzesco in tutto quello che faceva, ma sono innamorato di quei giri di accordi. Il modo di suonare di Hendrix era molto più pericoloso di quello degli altri: ascoltarlo significava essere investiti da una personalità tridimensionale. Riuscivi a scappare, ad affogare nel mondo che creava con lo strumento. Dai, è riuscito a fare gospel con la chitarra! Noi altri stiamo solo mangiando gli avanzi del suo piatto. Fonte: Rolling Stone Italia La musica di Wish you Were Here è stata scritta da Roger Waters e David Gilmour, con numerosi riferimenti a Syd Barrett. Syd Barrett fondatore della band, mentalmente instabile a causa all'abuso di stupefacenti, sebbene l'ispirazione della canzone sembra essere venuta dalla morte di Beatrix Louisa Roger (1883 - 1972), nonna di Roger Waters, che a tal proposito racconta: << In genere prima si scrive la musica [di una canzone] e poi il testo, oppure musica e testo insieme. Solo una volta mi è successo di scrivere il testo prima della musica: con 'Wish You Were Here'. [...] L'ho scritta in seguito alla morte di mia nonna. Aveva passato l'ultimo anno della sua vita a casa di mia madre e quando andavo a trovarla mi guardava con un'espressione molto sofferente e diceva 'Robert!'. Robert era suo marito, morto da oltre vent'anni. >> Stéphane Grappelli (1908 - 1997), violinista francese noto per la sua collaborazione con Django Reinhardt, si trovava nello stesso studio di registrazione dei Pink Floyd insieme al collega Yehudi Menuhin, quando Gilmour suggerì che un sottofondo di violino sarebbe stato interessante alla fine di Wish you Were Here. Grappelli accettò di partecipare alla registrazione, ma in fase di mixaggio il suo contributo venne rimosso (è comunque ancora udibile al minuto 5:21). I Pink Floyd giudicarono offensivo menzionare il musicista per un contributo così modesto e per questo motivo il suo nome non compare nei credits dell'album. Testo e Traduzione
Fonte: Web Nell'anniversario della morte della voce dei Queen riascoltiamo 'Innuendo' il disco con cui si confrontava con la sua mortalità, la stessa lucidità del Bowie di 'Blackstar' Innuendo, il quattordicesimo album in studio dei Queen, è uscito il 5 febbraio del 1991. È l’ultimo registrato dalla lineup originale: Freddie Mercury, Brian May, John Deacon e Roger Taylor. L’uscita dell’album, all’epoca, è stata una manna dal cielo per i fan, ancora sotto shock per il “rapimento” della linea di basso di Under Pressure, il singolo collaborazione con David Bowie, da parte di Vanilla Ice, che l’ha usata per la sua mega-hit Ice Ice Baby. «L’ho sentita per la prima volta in una sede del fan club», ha detto Brian May del pezzo. «Ho pensato: interessante, ma nessuno comprerà questa schifezza. Avevo torto, ovviamente». Dopo la morte di David Bowie, a causa di un cancro al fegato, avvenuta pochi dopo la pubblicazione del suo ultimo album Blackstar, molti hanno azzardato un parallelismo tra il percorso tragico di Bowie e quello di Innuendo, pubblicato pochi mesi prima della morte di Mercury, come tutti sanno dovuta alle complicazioni dell’AIDS. I rumor sulla salute del cantante dei Queen esplosero dopo una serie di apparizioni alla fine degli anni ’80, e in particolare dopo quella del 1990 al Dominion Theater di Londra, dove la band riceveva il Brit Award, “Outstanding Contribution to British Music”, l’ultima volta che Mercury si è presentato in pubblico. Nonostante tutto, però, le voci sulla sua malattia venivano regolarmente smentite, soprattutto da Roger Taylor, che insisteva a dire ai giornalisti che «Mercury era in salute e al lavoro». «Freddie aveva una tranquillità incredibile, non l’ho mai sentito lamentarsi», ha detto May nel documentario della BBC del 2011, Days of Our Lives. «Mi ricordo di una sera in particolare, eravamo in giro e lui aveva dei problemi con una gamba. Si è accorto che lo guardavo e mi ha detto: “Brian, vuoi vedere com’è davvero?”, mi ha mostrato come stava e quando ha visto la mia espressione ha aggiunto, “Sono davvero dispiaciuto, non volevo farti questo”. Non l’ho mai sentito lamentarsi, mai, non ha mai detto che la sua vita era una merda e che sarebbe morto. Mai, mai, mai. Era una persona incredibilmente forte». Ascoltare Innuendo, così come Blackstar, non significa confrontarsi con il dolore di uomini con un piede nella fossa. Anzi, sono album di artisti che affrontano la malattia guardandola negli occhi, che vogliono «continuare a lavorare finché il corpo lo consentirà», come ha detto una volta Freddie. E il suono di Innuendo conferma che faceva sul serio. L’album è il ritorno trionfale delle sonorità hard rock di The Miracle, uno dei loro lavori più sottovalutati, mescolate con qualche avventura nella psichedelia floydiana, nella prima EDM e nel romanticismo in stile Smiths. Si apre con la title track, sei minuti e mezzo con un ritmo bolero, un break flamenco e un finale da rock-opera, un brano che tutti hanno subito definito come Bohemian Rhapsody II. Ma è una canzone con un’identità tutta sua, in parte debitrice dell’influenza di Kashmir degli Zeppelin, e anche l’unico brano della discografia con la partecipazione di un secondo chitarrista, Steve Howe degli Yes. «Quando me l’hanno fatta sentire la prima volta ero sconvolto», ha detto Howe al magazine Prog nel 2012. «Poi mi hanno detto, in una specie di coro, “Vogliamo delle linee pazze di chitarra spagnola, improvvisa!” E così ho fatto, ma era difficile. Dopo un paio d’ore mi sono reso conto di avere qualche difficoltà, avevo bisogno di imparare la struttura, i passaggi armonici degli accordi, dovevo capire dove andava a parare la composizione. Ci abbiamo lavorato fino a sera, è stata una bella giornata. Poi ci siamo seduti a tavola, abbiamo cenato e solo dopo abbiamo riascoltato tutto. Erano molto soddisfatti». May ha spiegato che i passaggi più heavy dell’album sono figli del suo amore per i guitar hero di fine anni ’80, Steve Vai e Joe Satriani. La sua performance, però, è tutto meno che virtuosismo fine a sé stesso, anzi è la dimostrazione definitiva di come la sua scrittura e quella di Mercury si completassero a vicenda, due metà di un cerchio perfetto. «Siamo sempre stati più forti tutti insieme», ha detto Roger Trayler in un video promozionale. «Mi sento fortunato, abbiamo passato momenti fantastici. Freddie era un vulcano d’energia, davvero. Lavorare con lui era come tirare sempre fuori il meglio di te stesso, riusciva a ispirare tutti quelli che erano attorno a lui». Headlong nasce da alcune demo che Brian May ha registrato per un suo disco solista; quando ha chiesto a Freddie di registrare una parte di voce, si è reso conto che funzionava troppo bene per non essere un pezzo dei Queen. Anche le meno note The Hitman e I Can’t Live With You mostrano un ritrovato amore per le chitarre, per un sound aggressivo almeno tanto quanto avevano fatto nel 1974 con Sheer Heart Attack. Il ritorno del suono rock è stato accolto con gioia dai fan, soprattutto da quelli più preoccupati per le divagazioni nella New Wave e nel synthpop degli anni ’80. «Siamo sempre stati una band elettrica», diceva Taylor nel 1991. «Poi abbiamo provato a staccarci un po’, ma quando ci allontanavamo troppo c’era sempre qualcuno che si lamentava. Sono convinto che i nostri fan volessero un ritorno di chitarra, basso e batteria rock. L’album è nato pensando a questo». Contemporaneamente, però, sono riusciti a uscire dalla loro comfort zone, esplorando suoni e arrangiamenti nati grazie ai testi, dove Mercury si confrontava con il peggioramento delle sue condizioni di salute. Freddie stava letteralmente morendo di fronte ai suoi amici, e l’esperienza ci ha regalato alcuni dei momenti più memorabili della loro discografia. I’m Going Slightly Mad, nonostante tutto il black humour, è un racconto commovente della sua battaglia contro l’AIDS, e soprattutto contro la demenza che ne deriva, uno dei problemi più drammatici affrontati durante le session. “Just savor every mouthful and treasure every moment when the storms are raging around you”, canta in Don’t Try So Hard, un brano ispirato al Britpop di fine decennio, con tanto di chitarre scampanellanti e sintetizzatore Korg M1 (suonato dal produttore David Richards). Poi la ballata These Are the Days of Our Lives, il singolo più significativo di Innuendo, pubblicato il giorno del 45esimo compleanno di Mercury, con un video che passerà alla storia come l’ultima apparizione di Freddie in vita, girato a maggio del ’91 mentre soffriva terribilmente. FATEMI CANTARE ANCORA, SO CHE NON MI RIMANE MOLTO TEMPO«Più peggiorava più ci dava l’impressione che avesse bisogno di suonare», ha spiegato Roger Taylor. «Aveva bisogno di trovare un motivo per andare avanti, e veniva in studio ogni volta che poteva. È stato un periodo di lavoro molto intenso». Innuendo è stato accolto molto positivamente dai fan e dalla critica, e Mercury ha subito pressato la band per continuare a battere il ferro finché era caldo. «Diceva sempre “Scrivetemi qualcosa, so che non ho ancora molto tempo”», ha detto May in Days of Our Lives. «Datemi cose da cantare, canterò e canterò. Poi quando non ci sarò più fatene quello che volete, finite come preferite». Il risultato è Made in Heaven, con quella Mother Love registrata solo poche settimane prima della sua morte. Nel brano c’è una dichiarazione che sembra un testamento: “I long for peace before I die”. Nonostante tutto, però, ascoltando Innuendo si ha l’impressione che le sue ultime parole fossero già tutte lì, soprattutto nel finale The Show Must Go On. Fonte: Rolling Stone Italia
La leggendaria band hard rock ha scritto sul suo sito: "Ci lascia una grandissima eredità che vivrà per sempre. Malcom, ben fatto".
Gli AC/DC hanno confermato la morte del chitarrista e co-fondatore Malcom Young, che è mancato all’età di 64 anni.
Originario di Glasgow, Young ha fondato la leggendaria band hard rock con il fratello Angus nel 1973. Nel 2014 si era ritirato permanentemente a causa di un principio di demenza. Confermando la notizia sul sito gli AC/DC hanno scritto: “Oggi con il cuore pesante di tristezza gli AC/DC devono annunciare la scomparsa di Malcom Young. Malcom, insieme ad Angus era il fondatore e creatore del gruppo. Con la sua enorme dedizione ed il suo impegno era la forza che guidava la band. Come chitarrista, scrittore e visionario, era un perfezionista e un uomo unico. Diceva e faceva sempre quello che voleva. Era sempre molto orgoglioso di tutti i suoi lavori. La sua lealtà ai fan era senza precedenti”. Angus Young ha aggiunto: “Essendo suo fratello è molto difficile esprimere a parole cosa significasse per me. Il legame che avevamo era unico e molto speciale. Ci lascia una grandissima eredità che vivrà per sempre. Malcom, ben fatto”. La band ha anche fatto sapere che Malcom se n’è andato serenamente con i proprio cari al suo fianco. In ottobre, gli Young avevano perso, all’età di 70 anni, il fratello più vecchio George, chitarrista degli Easybeats e da sempre produttore degli AC/DC.
Come chitarrista per il gruppo, Malcom era un indispensabile supporto per i riff del fratello Angus che riempivano le arene.
Dopo aver formato la band nel 1973, i fratelli Young sono stati accreditati come co-autori di tutti i brani degli AC/DC dal 1975 con il loro debutto High Voltage fino al 2014 con Rock or Bust. Questo album è stato il primo senza Malcom, che ha annunciato il suo ritiro nel settembre di quell’anno. “Ovviamente Malcom ci manca” aveva detto il cantante Brian Johnson a luglio “è un lottatore. Ora si trova in ospedale ma è un lottatore. Teniamo le dita incrociate nella speranza che si rimetta in sesto. Suo nipote Stevie è magnifico, ma quando registri le canzoni con questo peso sul cuore, sapendo che il tuo amico non sta bene, è difficile. Ma sono sicuro che lui sta facendo il tifo per noi”. Il chitarrista si era esibito live l’ultima volta con gli AC/DC nel tour Black Ice del 2008, che si era concluso nel 2010 a Bilbao, in Spagna.
Durante tutta la carriera del AC/DC Malcom e Angus sono stati la principale forza creativa del gruppo, creando inconfondibili riff, che hanno reso la band una delle più grandi di sempre. Insieme i fratelli hanno scritto hit come Back in Black, Hells Bells, Highway to Hell, Thunderstruck, For Those About to Rock (We Salute You),You Shook Me All Night Long.
Nonostante questo, la vita di Malcom non è stata senza conflitti: beveva e ha lasciato brevemente la band nel 1988 per andare in riabilitazione. Dopo alcuni mesi è tornato e da allora è sempre rimasto sobrio.
I fratelli Young e gli AC/DC sono stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2003.
Quando Rolling Stone nel 2008 ha chiesto loro: “Chi gestisce gli AC/DC?”, Malcom ha risposto “Entrambi. Perché c’eravamo fin dall’inizio”. Intanto arrivano le reazione dal mondo della musica: da Dave Mustaine dei Megadeth a Eddie Van Halen fino a Ozzy Osbourne, Slash e Dave Grohl.
Fonte: Rolling Stone Italia
Quella di Neil Young è una carriera schizofrenica che ha ispirato tutti, da Nick Cave ai Sonic Youth. Nell’estate del 1960 un Neil Young adolescente imbracciava la sua prima chitarra elettrica. Non era il suo primo strumento musicale, a quanto pare un ukulele, ma il più importante. Perché Neil Young non è solo uno dei grandi vecchi del folk, uno dei cantautori “morali” insieme a Dylan e Springsteen; è stato il primo a usare le chitarre distorte e cacofoniche in un modo che influenzerà musicisti di tutte le razze. E se qualcuno avesse dubbi, che si andasse a guardare la lista dei musicisti che hanno partecipato a The Bridge, il disco tributo pubblicato da Caroline Records nel 1989. Flaming Lips, Nick Cave, Pixies, Sonic Youth e Dinosaur Jr; artisti diversi ma accomunati dalla gratitudine verso questo vecchio canadese ingobbito, con il viso consumato dalle rughe e sempre nascosto da un cappello da cowboy. È tante cose, Neil Young: ambientalista, distopico, nichilista, rocker. Oggi compie 72 anni, e qui sotto trovate alcuni dei momenti più iconici della sua carriera, attraverso gli album: gli inizi da poeta della frontiera, la trilogia oscura, la tragedia della droga, le sperimentazioni tecnologiche degli anni ’80 e la rinnovata passione politica. Il cantautore della frontieraHarvest è sicuramente il disco più riconoscibile della discografia di Young, il suo “classico” e la consacrazione nell’olimpo della musica mondiale. È un disco delicato e rurale, che nasconde al suo interno i contorni delle sue composizioni più spettrali, una su tutte la tragica Needle And The Damage Done. Il rapporto con la drogaDopo la morte per overdose del roadie Bruce Barry e di Danny Whitten dei Crazy Horse, Neil Young scrive i suoi dischi più oscuri. Il primo è l’ingannevole On the Beach, che si apre con la spensierata Walk On per poi sprofondare negli otto minuti angoscianti di Ambulance Blues. Un anno dopo esce Tonight’s the Night, il suo capolavoro: un atto d’accusa verso un’epoca intera e racconto autodistruttivo della fine dei sogni del rock. «Tonight’s the Night è un disco sull’overdose. Parla della vita, della droga e della morte», ha detto nella sua prima vera intervista per Rolling Stone, nel 1975. «L’abbiamo registrato per riempire un vuoto». L’aggiornamento tecnologicoGli anni ’80 sono l’occasione per un aggiornamento tecnologico, rappresentato perfettamente da Trans, il suo disco più strano e discusso dai fan. L’elettronica e i filtri vocali applicati alla sua voce danno ai brani una veste sintetica. Ascoltarlo oggi è strano, ma è l’album simbolo delle sperimentazioni di quel decennio, un passaggio affascinante della carriera di Young. Il padrino del GrungeDopo le sperimentazioni degli anni ’80 Young torna in tour con i suoi Crazy Horse e, nel 1991, pubblica il suo disco live più impressionante. Ascoltare Weld con un impianto bello grosso è una prova fisica, una faticaccia. È un album esagerato e rumoroso, che trasforma tutti i pezzi del repertorio in maratone di distorsioni. Recuperatelo. I passi falsi politiciNeil Young è sempre stato un cantautore politico, ma la sua scrittura funziona soprattutto quando trasforma i temi collettivi in dramma interiore. Forse è per questo che gli episodi più “direttamente politici” della sua discografia sono anche i meno riusciti. Monsanto Years, Fork in the Road e, soprattutto, l’ultimo singolo Children of Destiny, sono pieni di retorica, dimenticabili. Se c’è qualcuno a cui il ritorno della musica politica in america ha fatto male, questo è Neil Young. Ma glieli perdoniamo tutti i dischi sbagliati, perché il canadese è un’anima inquieta e sempre in movimento, e ci sorprenderà ancora. Fonte: Rolling Stone Italia Pezzo originale del 1977 cantato da Brian May, ma con Freddie è tutta un'altra storia. La versione originale di "All Dead, All Dead" è cantata da un insolito Brian May, che in quell'occasione lasciò la chitarra da parte per prendere in mano il microfono. "All Dead, All Dead" è un brano bellissimo dei Quenn contenuto nel disco "News Of The World" del 1977. Versione cantata da Freddie Mercury Vi siete mai chiesti come sarebbe stata cantata da Freddie Mercury? Bene, vi diamo la possibilità di scoprirlo... Il prossimo 17 Novembre uscirà la ristampa di News Of The World, nell'attesa è stata messa online una versione del brano cantata da Freddie. Con tutto il rispetto per il nostro Brian May, ma con la voce di Freddie è tutta un'altra storia. Versione Cantata da Brian May Fonte: Rolling Stone Italia
Tutte le leggende della band dei Led Zeppelin, tra satanismo, magia nera, squali, la morte di Bonzo e l'amore 14enne di Page. Forse i Led Zeppelin sono una delle band che ha creato più leggende e disinformazione della storia del Rock. La cosa incredibile è che non tutte erano false, qui potete scoprire cosa è vero cosa è falso e cosa rimane ancora in mezzo. Sentire dei messaggi satanici suonando Stairway To Heaven al contrarioIl retroscena Il telepredicatore Paul Crouch ha messo in giro questa voce nel 1982, sostenendo che suonando al contrario la strofa “Se c’è un trambusto nella tua siepe, non allarmarti” del pezzo più famoso dei Led Zeppelin, si sente: “Questa è per il mio caro Satana / Colui il cui cammino mi rende triste e il cui potere è il diavolo / Lui darà 666 a tutti quelli che sono con lui / C’è una piccola capanna dove ci ha fatto soffrire, il triste Satana”. La verità Quella strofa suonata al contrario è in effetti simile all’interpretazione di Crouch, ma è solo una coincidenza. «A chi verrebbe mai in mente di fare una cosa del genere?», ha detto Robert Plant a proposito delle accuse di satanismo, «Se credi che qualcuno possa anche solo pensare di farlo vuol dire che hai un sacco di tempo da perdere». La casa appartenuta ad Aleister Crowley fu acquistata da Jimmy Page...Il retroscena Crowley è un filosofo e occultista inglese che all’inizio del XX secolo si dilettava di magia nera. Page ne era ossessionato, e ha collezionato un’enorme quantità di memorabilia. La verità Nel 1971 Page ha veramente comprato una casa appartenuta a Crowley a Loch Ness, in Scozia, dicendo che era infestata dai fantasmi, ma non necessariamente per colpa di Crowley: «Prima che arrivasse lui, aveva avuto due o tre proprietari», ha detto Page a Rolling Stone nel 1975. «In passato nello stesso luogo c’era un chiesa che è stata rasa al suolo con tutti i fedeli dentro. Sono successe cose strane in quella casa che non hanno niente a che vedere con Crowley, c’erano già delle brutte vibrazioni. Un uomo era stato decapitato là dentro e a volte si sentiva il rumore della testa che cadeva dalle scale». Il nome Led Zeppelin fu inventato da Keith Moon degli WhoIl retroscena Nel 1966, Keith Moon e John Entwistle registrano Beck’s Bolero con Jimmy Page, John Paul Jones e Jeff Beck. Il pezzo viene bene e i cinque pensano anche di formare una band. Moon dice che si schianterebbe come un dirigibile di piombo (in inglese “lead Zeppelin”). Due anni dopo Jimmy Page si ricorda della sua battuta e crea il nome Led Zeppelin. La verità Ci sono versioni discordanti: per anni John Entwistle ha detto di essere stato lui a dirlo. Ma la storia sembra dare ragione a Moon. La notte in cui è morto, John Bonham, aveva bevuto 40 shot di vodkaIl retroscena John Bonham viene trovato morto la mattina del 25 settembre 1980 nella casa di Page nel Windsor Berkshire, dopo aver bevuto tutto il giorno precedente durante le prove. La verità Secondo i risultati dell’autopsia, il batterista aveva in corpo l’equivalente di 40 shot di vodka. Aveva bevuto vodke quadruple tutto il giorno ed era così ubriaco che non si è svegliato quando il suo corpo ha cominciato a espellere l’alcol. Jimmy Page è un adoratore del diavoloIl retroscena L’ossessione di Page per Aleister Crowley ha alimentato le voci secondo cui lui e Satana erano molto vicini. Un’altra leggenda dice che i Led Zeppelin hanno fatto un patto con il diavolo in cambio della fama. La verità Non ci sono prove del fatto che Page fosse un satanista, anche se credeva nella filosofia della liberazione personale di Crowley (ha fatto anche scrivere l’aforisma di Crowley “Do what thou will” sull’etichetta del vinile nell’edizione originale di Led Zeppelin III). Page non fa molto per smentire le voci, forse perché capisce che fanno bene alle vendite. «Non voglio parlare delle mie credenze personali o del mio interesse per la magia», dice a Rolling Stone, «non sono interessato a convincere nessuno di niente, se le persone vogliono trovare delle risposte, che le trovino da sole». L'amore 14 enne di Jimmy PageJimmy Page e Lori Maddox nei primi anni ’70. Foto di Michael Ochs Archives/Getty Images Il retroscena Nei primi anni ’70 Lori Maddox è una groupie della scena rock di Los Angeles. Secondo quanto ha raccontato, Page si è invaghito di lei e ha chiesto a uno dei roadie dei Led Zeppelin di accompagnarla nella sua suite alla Hyatt House. «Aveva un cappello in testa che gli copriva gli occhi e teneva in mano un bastone. Sembrava un gangster, era magnifico», ha ricordato lei. Negli anni successivi i due hanno avuto una storia bollente. La verità Maddox aveva in effetti 14 anni quando ha incontrato Page, che ha fatto il possibile per mantenere segreta la relazione. Anche negli anni ’70 questo tipo di cose potevano farti finire in galera. Però, non essendoci ancora TMZ o US Weekly, Page se la cava. E alla fine lascia Maddox per Bebe Buell, che è maggiorenne. I Led Zeppelin una volta hanno abusato di una ragazza con uno squaloIl retroscena La leggenda più tristemente nota dei Led Zeppelin inizia dopo il concerto al Seattle Pop Festival del 27 luglio 1969, quando la band torna all’hotel Edgewater Inn, che si trova proprio nelle acque dello stretto di Puget, e gli ospiti possono pescare direttamente dalle finestre delle camere. La biografia Il Martello degli Dei del 1985, la cui fonte principale è il manager della band Richard Cole, descrive una scena avvenuta in una delle stanze: “Una giovane groupie dai capelli rossi è stata spogliata e legata al letto”, scrive Stephen Davis, “e i Led Zeppelin le hanno infilato pezzi di squalo nella vagina e nel retto”. La verità Secondo un’altra versione, è Cole il colpevole dell’incidente con lo squalo. Anche la band Vanilla Fudge si è presa la responsabilità. Il batterista Carmine Appice dice che la ragazza in questione era una groupie che seguiva lui, e che il tastierista Mark Stein ha filmato l’intera scena. I Led Zeppelin sono in hotel, ma nella stanza c’è solo John Bonham. Da qualche parte oggi c’è una donna di circa 60 anni che potrebbe confermare o smentire la storia, ma è abbastanza improbabile che lo faccia. Il titolo del quarto album dei Led Zeppelin è “Zoso”Il retroscena I primi tre album hanno titoli semplici e ragionati: Led Zeppelin I, II e III. Nel novembre 1971, quando arriva il momento di scegliere quello del quarto disco, la band va oltre e si rifiuta di stampare anche una sola parola sulla copertina, nemmeno il loro nome. A quanto pare sperano di mandare in confusione l’odiata stampa musicale. «Dopo tutto quello che avevamo fatto, continuavano a dire che eravamo solo un gruppo di moda», dichiara Page, «ecco perché il quarto album non ha un titolo». Ovviamente questa mossa crea una certa confusione, e fa infuriare la Atlantic Records. La band mette inoltre sulla copertina quattro simboli, uno per ogni membro della band. Quello di Page a quanto pare si pronuncia “Zoso”. La verità Page ha insistito nel dire che i simboli non sono nemmeno lettere, ma questo non ha impedito a tutti di chiamare questo album “Zoso”. Tecnicamente però è un disco senza titolo. Il titolo D’Yer Mak’er nasce da una vecchia battuta cockney sulla GiamaicaIl retroscena Molti fan pensano che il titolo di questo pezzo da Houses of the Holy si pronunci Dire Maker, invece va pronunciato come il nome del Paese caraibico. La verità Plant ha confermato che D’yer Mak’er viene da un vecchia battuta un po’ grossolana tipica dei comici londinesi, che fa più o meno così:“Mia moglie va in vacanza”. “D’yer mak’er (che è lo spelling di Jamaica, ma pronunciato velocemente sembra una cosa tipo: “Sei stato tu a organizzare?”).“No, ha deciso da sola”. L’allusione alla Giamaica è comunque appropriata per questo pezzo, che è la mossa reggae dei Led Zeppelin. Il vecchio eremita nella copertina di Led Zeppelin IV è un personaggio de Il Signore degli Anelli Il retroscena Tutti sanno che i Led Zeppelin amavano la saghe de Il Signore degli Anelli. Nel testo di Ramble On del 1969 citano persino due personaggi, Mordor e Gollum. Quindi quando una misteriosa figura incappucciata che regge una lanterna con la mano e sembra uscita direttamente dalla Terra di Mezzo appare nell’interno di copertina del quarto album dei Led Zeppelin, molti fan pensano che sia presa da uno dei libri di J.R.R. Tolkien. La verità “L’eremita” è ispirato a una figura dei Tarocchi. Nel 1976 Page interpreta anche il ruolo dell’eremita in una scena fantasy del film dei Led Zeppelin The Song Remains the Same. Fonte: Rolling Stone Italia
Da Barrett a Gilmour passando per Waters, i capolavori più belli delle carriere parallele dei musicisti dei Pink Floyd. Da Syd Barrett che dimostrava che se la sua mente non fosse implosa sarebbe stato il più grande di tutti a Roger Waters sfogava le sue fantasie più surreali, tutto questo mentre Gilmour si abbandonava al reverb e alla solitudine, possiamo dire che fuori dai Pink Floyd c'è vita! “The Madcap Laughs” di Syd Barrett (1970)Il vertiginoso folk rock dell’album, realizzato con l’aiuto di Gilmour e Waters. L’esordio solista di Barrett lascia intuire che A Saucerful of Secrets avrebbe potuto essere un capolavoro ai livelli di Sgt. Pepper se la sua mente avesse retto. “Music from the Body” di Ron Geesin e Roger Waters (1970)L’album, che si apre con un assalto percussivo e polifonico di peti, rutti, schiaffi sulle cosce, guance che si sgonfiano accompagnati da un pianoforte jazz, è la colonna sonora di un documentario inglese sul corpo umano, ed è un’affascinante e ingenua mescolanza di canzoni e musica sperimentale da camera. Comprende le più amabili registrazioni soliste di Waters (tra cui Breathe, che preannuncia l’omonimo brano di The Dark Side of the Moon). “Barrett” di Syd Barrett (1970)Più costruito e strumentale rispetto a The Madcap Laughs, Barrett è una cavalcata nel paesaggio di una psiche instabile, tra terreni accidentati e visioni superbe. Dominoes, lenta e ritmata, parla di appartarsi e giocare giochi da salotto, mentre Gigolo Aunt, dall’incedere più risoluto, avrebbe potuto essere un successo pop, con quelle linee di chitarra. Rats, un blues elettrico allucinato che procede a ruota libera, e la più lenta e sinuosa Maisie mettono i brividi. “The Pros and Cons of Hitch Hiking” di Roger Waters (1984)Scritto nello stesso periodo di The Wall, nelle intenzioni di Waters avrebbe dovuto essere un album dei Pink Floyd. Ma è diventato un disco solista costellato di effetti sonori, che si avvale della collaborazione di Eric Clapton e della chitarra di Gilmour, con risultati eccellenti. I cori dal sapore gospel e R&B e gli svolazzi jazz del sassofono di David Sanborn intensificano la coloritura blues dell’album, e se le affinità con The Wall sono evidenti, è pur vero che Pros and Con è invecchiato magnificamente bene. “On an Island” di David Gilmour (2006)Quest’album rigoglioso è il più coeso tra i lavori solisti di Gilmour, con la chitarra che veleggia in ogni brano, echeggiata da Phil Manzanera dei Roxy Music. Si capta una venatura folk in Smile, arricchita dall’effetto slide, e nella canzone che dà il titolo all’album, impreziosita dalle armonizzazioni di David Crosby e Graham Nash, mentre altrove si sentono lievi tocchi prog-rock. Fonte: Rolling Stone Italia
Il più importante evento collettivo nella storia del Rock Il concerto di Woodstock si svolse nell’agosto del 1969 a Bethel, piccola località dello stato di New York e fu probabilmente il più importante evento collettivo nella storia della musica rock. Organizzato come un semplice concerto rock di provincia, accolse inaspettatamente per tre giorni e tre notti più di 450.000 giovani. L'importanza storica di questo evento dipese tanto dal punto di vista musicale, quanto da un punto di vista politico e sociale: le date in cui ebbe luogo, infatti, vengono fatte coincidere con la consacrazione mediatica della rivoluzione culturale del '68 e il culmine dell'era hippy. Migliaia di giovani americani, per tre giorni, abbandonarono i propri interessi personali per dedicarsi a qualcosa che, a posteriori, viene visto come un sogno collettivo di riforma della società. Ogni dieci anni il concerto viene riproposto ospitando artisti della prima edizione o delle edizioni precedenti ed artisti contemporanei: questi eventi sono diventati degli importanti appuntamenti sociali poiché descrivono, attraverso la musica e coloro che vi partecipano, le mutazioni della società, in particolare di quella statunitense. Il vero spirito che stava dietro quella manifestazione era la speranza di poter cambiare il mondo, in meglio, che animò le generazioni di hippy di quegli anni. I giovani di Woodstock credevano che fosse cominciata una nuova era di pace e di diritti civili. Una generazione "on the road"che legge le poesie di Ginsberg, Corso e Ferlinghetti, va ai grandi raduni musicali californiani e alle manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Erano gli anni delle cartoline precetto bruciate e della vita nomade a cavallo della Harley Davidson. Migliaia e migliaia di giovani si riconobbero nelle parole e nella musica dei Jefferson Airplane, di Dylan, dei Buffalo Springfield e dei Grateful Dead. E necessariamente quelle musiche sono la colonna sonora di tutti quei film che la ferita, non ancora rimarginata, della guerra del Vietnam ha ispirato. Elenco artisti che presero parte al concerto:
Che fine ha fatto il Rock? Una domanda che personalmente credevo inattuale, archiviata da tempo. Eppure per alcuni sembra non essere così: Questa volta è finita davvero” hanno dissotterrato una questione su cui vale la pena provare a fare un po' di chiarezza. La musica dei cosiddetti “noughties” ha proseguito nella frammentazione della pop music, deflagrata inesorabilmente a partire dagli anni '90: in questo periodo, nonostante momenti di convergenza quali il Grunge e il Britpop, il panorama musicale ha perso la sua “unità” frantumandosi in mille componenti, moltiplicando (e allo stesso tempo rendendo innocue) le distinzioni tra generi, venendo meno al rapporto forte tra musica, lifestyle e appartenenza sociale. La musica ha sicuramente perso il suo carattere di collante generazionale, di cassetta simbolica degli attrezzi capace di fornire codici identitari a giovani spogliati di ogni legame ascrittivo tradizionale col proprio contesto sociale. Forse è proprio in questo mutamento non ancora del tutto metabolizzato che sono da ricercarsi le origini di dubbi analoghi a quelli di Castaldo. Questo perché la musica pop (secondo l'accezione di “popular” in opposizione a “elitaria-colta”) è nata come Rock (il rock'n'roll degli anni '50) e come sottocultura giovanile. La musica era allora un megafono generazionale capace di fornire uno strumento di identificazione collettiva creativo, innovativo, libero, spontaneo, inesplorato. L'appropriazione spesso indebita degli oggetti di consumo (motociclette, brillantina, abiti ecc.ecc.) che il mercato metteva a disposizione a prezzi sempre più accessibili (o grazie ad un aumentato potere d'acquisto) era la modalità con la quale i giovani si costruivano come categoria sociale definita, portatrice di pretese e rivendicazioni specifiche. Grazie alla musica ascoltata si potevano tracciare linee divisorie generazionali (genitori vs. figli) e temporali (tra working time e week end, tra tempo del noioso dovere e tempo dello svago). Proprio attorno al concetto di “leisure” iniziavano a germogliare rivendicazioni prima inerenti al costume (si pensi alla carica sessuale di Little Richards e soci) e poi sempre più politiche (a partire dal Greenwich Village per approdare alla stagione della controcultura hippie-psichedelica). Andando di fretta avanti con gli anni (mi si perdonerà l'eccessiva sintesi) si arriva al punk, grande cataclisma che stravolge codici, linguaggi, forme e contenuti ma rispetta -sebbene con modalità anarcoidi e dadaiste/collagiste lo schema sottoculturale: il recupero dei valori della working class era unito ad un approccio creativo dal valore simbolico-spettacolare volto a rompere schemi e convenzioni, con il fine di creare uno strumento di resistenza ai valori dominanti. Gli anni '80 possono essere descritti come una prova generale di accettazione orgogliosa di una subalternità rock minoritaria: i canoni della pop music degli eighties mutano profondamente e le sottoculture, ben lungi dallo scomparire, si frammentano geograficamente e socialmente. La moltiplicazione degli stili è ancora segnata da linee divisorie piuttosto nette e continua a sussistere una forte componente “spettacolare” nell'adesione ad una sottocultura. Tutto però si ritaglia spazi minoritari, delle enclaves più o meno underground dove è ancora forte la distinzione tra musica commerciale e musica alternativa, dove permangono forti componenti conflittuali. Ed eccoci a noi. Da vent'anni assistiamo ad un totale rimescolamento delle carte che coinvolge la musica sia come forma artistica che come forma di espressione-identificazione sociale. La popular music ha perso buona parte della sua carica conflittuale, la promiscuità tra alternative e mainstream è spesso strutturale e funzionale (le indies come vivaio di talenti), l'adesione a diversi stili è un fatto per nulla contraddittorio e apparentemente legato a semplici configurazioni di gusti. L'accessibilità, grazie al web, nei confronti di una quantità gigantesca di informazioni annulla le frontiere temporali e assottiglia (anche se non annulla, risultando spesso un fenomeno illusorio) le differenze di classe. La musica degli ultimi dieci anni ha poi aderito ad una pratica assodata di depredazione e di riassemblaggio creativo del repertorio musicale degli ultimi cinquant'anni, tale da rendere del tutto inutile la concezione manichea “Rock vs. Pop”. E' proprio questa annullata distinzione che rende poco chiaro il discorso... Di cosa stiamo parlando dunque asserendo che “Il rock? Latita, è assente, così come sta praticamente scomparendo dalle classifiche, lasciando il posto a un dominio pressoché assoluto del pop”?. Se stiamo parlando del dualismo “Rock vs Pop” allora rientriamo nel discorso appena affrontato. Come si possono tracciare confini tanto netti in un'era che, a partire dal post-rock, ha messo insieme dub, elettronica, kraut rock e post-punk? In un decennio dove ha imperato il riferimento agli anni '80 di Cure e Joy Division, dove un gruppo come gli Arcade Fire ha conosciuto la popolarità grazie a webzine indipendenti come Pitchfork, dove Adele fa il botto con un r'n'b smaccatamente anni '60, dove il web offre una promiscuità imbarazzante tra l'ultimo singolo di Britney Spears, l'ep sfigato di un Blank Dogs qualunque e il folk anni '60 dei Fleet Foxes? Insomma, risulta difficile comprendere di che Rock si stia parlando. Lo stesso discorso vale se intendiamo il termine legandolo con una presunta e privilegiata funzione “controculturale”. Ebbene, la massima controcultura degli ultimi 20 anni è stato il fenomeno Rave, che da spartire con il rock controculturale degli anni '60 e '70 ha ben poco (a livello musicologico s'intende). Il problema è solo apparentemente terminologico. Rock vuol dire ancora qualcosa? O meglio, ha ancora senso utilizzarlo come termine distintivo oppure si rischia di incappare in una scomoda ambiguità? Certamente esistono tuttora band rock (nel senso classico di interazione ritmica di chitarra, basso e batteria) che riescono ad avere discreti successi (si pensi alla presenza in tantissime classifiche sul web dei Girls, o dell'hype generato dai tradizionalisti Black Keys), ma non esiste -almeno non necessariamente- nessuna distinzione di scena, di senso, di valori, tra un fan dei Black Keys ed uno dei Coldplay. Un esempio lampante può essere costituito da un Thom Yorke che incanala il brit-pop nella sperimentazione elettronica e oggi ascolta pacchi di post-dubstep e si dichiara un ammiratore di Aphex Twin. L'atteggiamento del pubblico nei confronti della musica si è ormai sbarazzato di ogni rigidità passata, surfando da genere a genere dimostrando un atteggiamento onnivoro e trasversale. Il rammarico per il fallimento di eventi come i Woodstock revival o per l'assenza di band-megafono come i Clash rischia di essere un atteggiamento miope o reazionario. La musica ha cambiato funzione sociale (si, può darsi, è solo intrattenimento: e allora?), questo è un dato con cui bisogna fare inevitabilmente i conti. E' errato però trarre conclusioni affrettate: se il rock ha slittato dal suo essere strumento conflittuale e critico non per forza ciò significa che abbia ridotto il suo potenziale comunicativo, o che non esistano altri strumenti che ne abbiano sostituito il ruolo. Potremmo dire anche che la codificazione eccessiva e parodistica del Rock come “forma di ribellione” ha svuotato di senso i suoi contenuti più di quanto non abbia fatto la sua scomparsa come categoria netta e riconoscibile. La moda può trasformare ognuno in un rocker maledetto dall'oggi al domani: non esiste più alcuna creatività sovversiva nel semplice stile. Il nuovo paradigma sembra essere quindi la commistione e l'ibridazione di generi e di diverse forme espressive. La cosa rappresenta davvero un problema? Più facilmente potrebbe essere invece segno di una ricchezza culturale ed una disponibilità mentale maggiore, capace di dispensare un dinamismo creativo mai visto fino ad ora. |
AutoreIl Rocker Archivio Post
Dicembre 2017
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